lunedì 29 ottobre 2012

I incontro del VII anno: L'inno alla carità di San Paolo

In preparazione alla consegna dell'Inno alla Carità, in questo primo incontro dell'anno abbiamo iniziato a riflettere su questo importantissimo testo che San Paolo ha consegnato alla Chiesa di tutti i tempi come irrinunciabile punto di riferimento.
Dopo aver ascoltato la canzone "Se non ami" di Nek,



ci siamo inoltrati nella lettura e in una breve analisi del testo e del suo contesto, arrivando ad evidenziare quanto di seguito riportato.

Paolo era approdato a Corinto attorno al 51, durante il suo secondo viaggio missionario, e vi era rimasto a lungo con varie vicende. La città era un importante centro commerciale, dove si incrociavano esperienze culturali, sociali e religiose differenti, ma in essa prosperavano anche la corruzione e la degenerazione morale. La stessa comunità cristiana aveva probabilmente respirato quest'atmosfera e ben presto si era rivelata divisa, segnata da crisi etiche, da problemi teologici e pastorali. Paolo apprende notizie poco confortanti da alcuni inviati da Corinto mentre si trova ad Efeso. Siamo attorno all'anno 55. Decide allora di scrivere una lunga lettera che affronti puntigliosamente le questioni più scottanti a lui segnalate.
Nei capitoli dal 11 al 13 l'attenzione alla vita liturgica della comunità e alle sue possibili degenerazioni ai allarga in una splendida pagina sulla struttura interiore e profonda della Chiesa, concepita come corpo di Cristo, molteplice nelle sue membra e qualità ("carismi"), ma unita nell'amore (agape). E' in questo contesto che si colloca l'inno alla carità, sul quale vogliamo fermare la nostra attenzione.

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.

La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

Nella prima parte dell'inno si riprendono i carismi che erano stati elencati nel precedente capitolo 12, come facenti parte dei doni che Dio concede agli uomini per costruire insieme la Chiesa, mettendoli in correlazione con la carità, con l'agape, con l'amore inteso alla maniera di Gesù Cristo. Il messaggio è chiaro ed evidente: anche i carismi più belli e importanti, anche le doti migliori che l'uomo riceve in dono dal suo Creatore possono essere investiti bene o male, per esaltare se stessi o per servire Dio e i fratelli: nel primo caso, quei doni non servono a nulla se l'obiettivo che l'uomo si pone non è quello di entrare nel Regno di Dio, di vivere un'esperienza di vera fraternità, di realizzare il progetto che Dio ha su di lui; nel secondo caso, se l'amore autentico è il motore che ci spingi a fare ogni cosa, mettendo a frutto i talenti che abbiamo ricevuto, allora tutto serve a farci avanzare sul cammino della santità.

Nella seconda parte dell'inno, vengono evidenziate le caratteristiche dell'"amore secondo Gesù Cristo", che deve essere l'anima di ogni pensiero, azione e scelta dell'uomo. Utilizzando il termine "carità", Paolo descrive il modo di agire di Dio (al termine "carità" si può sostituire la parola "Dio" e si otterrebbe una perfetta descrizione dell'immagine di Dio, così come emerge dalle pagine dell'Antico Testamento), il modo di agire di Gesù Cristo (al termine "carità" si può sostituire il nome "Gesù" e si otterrebbe una sua perfetta descrizione, così come emerge dalle pagine del Nuovo Testamento) e, di conseguenza, il modo di agire che il cristiano dovrebbe cercare di far sempre più suo.

Nella terza parte dell'inno, Paolo apre uno squarcio sul Paradiso, pieno compimento del Regno di Dio, dove l'amore, inteso nel modo che ha appena descritto, sarà la regola di vita che tutti seguono. Quando "vedremo Dio faccia a faccia", non ci saranno più ministeri, non ci saranno più carismi, non ci saranno più ruoli e compiti. La stessa fede e la stessa speranza, indispensabili in questa vita, cesseranno e non saranno più necessarie (non si può aver fede in ciò che già si vede né speranza in ciò che già si possiede!). Resterà solamente la carità, unico respiro in cui tutti vivranno e si muoveranno.
Vivere nella carità, con l'aiuto di Dio che si ottiene mediante la fede in lui e sostenuti dalla speranza che esplode dalla resurrezione di Cristo, è la condizione indispensabile per essere accolti nel Regno della Carità alla fine dei tempi. Vivere nella carità è l'unica scelta che l'uomo può fare per anticipare già in questo mondo, seppur in modo imperfetto, ciò che possiederà in pienezza nell'altro, instaurando rapporti di fraternità e di solidarietà, di giustizia e di pace con tutti i fratelli che condividono con lui l'avventura della vita.

Ci siamo quindi fatti alcune domande, per cercare di rendere il più possibile concreto il discorso fatto:
1. Quali ragioni, oltre all'amore senza misura, possono portare a compiere azioni eroiche?
2. Siamo capaci di amare come Paolo descrive nella seconda parte dell'inno? Quale dimensione dell'amore cristiano fatichiamo di più a vivere?
3. Siamo davvero preoccupati di imparare ad amare? Quanto tempo dedichiamo a questo "apprendistato"?
Soprattutto in riferimento all'ultima domanda, è emersa un'interessante discussione su quanto tempo spendiamo per educare i nostri figli all'amore... ci preoccupiamo molto di spingerli alla competizione, a dare il meglio di se per primeggiare... mai o quasi mai ricordiamo loro che solo se impareranno davvero ad amare potranno essere davvero felici...

Abbiamo quindi concluso con un breve momento di preghiera, chiedendo al Signore di insegnarci ad amare:
Signore, insegnaci ad amare.
C'è qualcosa che chiamiamo amore,
ma, tu sai che è meschino e avaro;
è solo un egoismo raffinato.
Non ci doniamo.
Rivendichiamo soltanto,
come un esattore di imposte.
Per questo, Signore, ti cerchiamo invano.
Tu non vivi in questa oscurità,
perché tu sei l'amore.
Tuttavia, sei così buono, che,
nonostante tutto, ci parli.
Il tuo amore è più forte della nostra corazza di buio,
così vediamo brillare la tua luce.
Gesù Cristo, insegnaci ad amare;
ogni volta di più, ogni giorno più disinteressatamente.
Non perché sentiamo bisogno d'affetto,
ma perché gli altri hanno bisogno d'amore.

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